Collezioni
La collezione Picozzi
La Collezione Picozzi ha un valore speciale grazie al suo collegamento con la storia stessa dell’Egittologia in Italia e si riallaccia, da un lato alla grande raccolta faraonica del Museo Archeologico di Firenze, riportata in Italia da Ippolito Rosellini – in seguito alla Spedizione franco-toscana in Egitto e in Nubia (1828-1829) voluta dal granduca Leopoldo II – e dall’altro lato, al gruppo di reperti faraonici conservati a Pisa nel Museo dell’Opera Primaziale, e donati a questo Museo già nel 1830.
La raccolta consiste di un centinaio fra reperti archeologici, provenienti dalla valle del Nilo, e materiale di valore artistico e archivistico anche importante: un abbozzo, inedito, del frontespizio dei “Monumenti dell’Egitto e della Nubia” di Ippolito Rosellini; un ritratto ad acquarello dello Champollion, copia di U. Umiltà da un olio di Alessandro Ricci datato: “Sul Nilo 5 ottobre 1829”; un “rotolo magico” etiopico e altri oggetti interessanti dell’archeologia nubiana della fine del secolo scorso, importanti comunque in quanto cimeli “roselliniani”.
La collezione Schiff Giorgini
Nel 1964 l’Università di Pisa arricchiva le sue Collezioni grazie a una donazione di eccezionale valore fatta da Michela Schiff Giorgini (1923-1978), la quale dal 1956 aveva aperto sotto il patrocinio dell’Ateneo Pisano, un cantiere archeologico in Sudan, a Soleb e poi a Sedeinga.
Il materiale proveniente dagli scavi si trova così diviso tra il Museo di Khartum e l’Università di Pisa, che conserva quei reperti che il Governo Sudanese ha via via attribuito all’archeologa italiana, alla quale l’Università di Pisa concesse nel 1971 la Laurea Honoris causa.
La Collezione Schiff Giorgini è ricca anche numericamente (circa 400 pezzi) ma il suo interesse deriva soprattutto dal fatto che il materiale fa parte di contesti archeologici esplorati metodicamente, e metodicamente studiati: il tempio di Amenofi III e la necropoli del Nuovo Regno a Soleb, e l’area delle necropoli meroitiche di Sedeinga. Molti dei pezzi della collezione pisana sono dei preziosi pezzi unici: uno specchio di bronzo ageminato d’oro, di elettro (una lega di oro e argento) e di rame, un grande scarabeo di Amenofi III, il cui testo geroglifico, inciso sul lato piatto, commemora la “caccia ai leoni”, una statua in diorite frammentaria, di Amenofi III – Nebmaatra, un blocco in arenaria rosata, dal tempio di Soleb, sulla cui superficie il ritratto di Amenofi III è scolpito con arte raffinata. La collezione pisana è giustamente considerata una delle più ricche di Europa per il materiale meroitico che conserva: sculture con e senza iscrizioni, avori, bronzi e vetri, fra i quali ha il posto d’onore l’eccezionale splendido “calice blu” ornato da una iscrizione greca (“Bevi e tu possa vivere!”) e da una decorazione figurata, policroma e dorata, d’ispirazione egittizzante ed alessandrina, che colloca il nostro calice tra i capolavori della produzione vitrea d’età romana (III sec. d.C.). Al materiale donato all’Ateneo nel 1964 si è aggiunto un anello d´argento – con iscrizione geroglifica sul castone – proveniente da Soleb donato nel 1997 da C. Robichon.
I carteggi e i documenti relativi alle campagne di scavo, condotte dal 1957 al 1976, da Michela Schiff Giorgini, con il patrocinio dell’Università di Pisa, a Soleb e Sefeinga in Sudan, sono pubblicate sul sito dell’Archivio Fotografico dell’Università di Pisa, a partire dalla pagina:
http://www.sba.unipi.it/it/risorse/archivio-fotografico/persone-in-archivio/schiff-giorgini-michela
La donazione Monica Benvenuti
Collezione di 14 strumenti in bronzo di provenienza regale, di Hatscepsut e di Thutmosi III; sono stati acquistati sul mercato antiquario (Cybèle, Parigi) nel 2001 e donati dalla Signora Monica Benvenuti di Livorno.
Su alcuni utensili della raccolta sono incisi i nomi dei due sovrani.
Sulla lama di una delle tre accette è inciso il nome e il prenome di Hatscepsut: “Il dio perfetto Maat-ka-Ra figlia di Ra Khenem-Amon, possa vivere eternamente”.
Il nome di Thutmosi III è inciso su quattro utensili, fra i quali la lama di un’ascia sulla quale è inciso il testo: “Il dio perfetto Men-kheper-Ra, amato da Hathor signora di Dendera”, indicativo della provenienza dell’oggetto dal tempio di Hathor a Dendera.
Gli Ostraka di Ossirinco
Nel 1968, le Collezioni egittologiche acquisirono una raccolta molto consistente, formata da più di 1500 ostraka (termine che indica i frammenti di vasellame di terracotta, usati anticamente come supporto scrittorio); la maggioranza sono documenti scritti in demotico (alcuni sono figurati; pochi sono scritti in greco e in copto), databili all’epoca romana, augustea e post-augustea.
Si tratta di un grande archivio relativo al traffico, soprattutto di cereali, tra Ossirinco e l’Oasi di Baharia; l’archivio demotico pisano di Ossirinco è completato da altri ostraka che si trovano presso l’Università di Colonia, sicché la pubblicazione dell’intero archivio permette una collaborazione scientifica internazionale tra Pisa e l’Università tedesca. Il complesso documentario è fondamentale per la storia dell’economia e dell’organizzazione dei commerci tra l’Egitto e le Oasi in epoca romana.
Le ultime acquisizioni
Le Collezioni Egittologiche dell’Ateneo pisano si sono arricchite negli ultimi anni di una serie di pezzi interessanti, frutto di varie donazioni da parte di privati.
Si possono ad esempio ammirare, fra i reperti esposti nelle sale delle Collezioni, un bellissimo bicchiere su peduncoli e la parte frontale di un cassetto in legno con maniglia in bronzo. Fra i tanti oggetti donati da privati si distinguono ancora una stele in arenaria di epoca tolemaica, raffigurante il faraone che fa offerta al dio Thot sotto forma di babbuino, sei bronzetti di divinità e due occhi bronzei che dovevano abbellire un sarcofago ligneo. Molto interessante anche il dono di sei placchette in faience azzurra destinate ad essere infilate in una collana; ciascuna placchetta è decorata su di una faccia con la testa del dio Bes e sull’altra con l’occhio ugiat. Di perline di faience di vari colori era anche la reticella funeraria, originariamente posta sopra la mummia bendata, che raffigura il volto del defunto. Tra i pezzi appartenenti all’ultima donazione del giugno 2012 un balsamario e una piccola olla in vetro incolore, un anello in bronzo e vari amuleti in faience.
L’Archivio Breccia
L’archivio di Annibale Evaristo Breccia, archeologo insigne, fu donato all’Ateneo Pisano dalla moglie Paolina Salluzzi nel 1967. L’intero archivio comprende: il carteggio di 2263 lettere inviate allo studioso dai maggiori rappresentanti della cultura e dell’archeologia dei primi decenni di questo secolo, i manoscritti che comprendono appunti, progetti di pubblicazione, rapporti e fotografie di scavo, disegni di monumenti e reperti, e infine le lastre fotografiche.
Annibale Evaristo Breccia (1876-1967) archeologo insigne, accademico dei Lincei, diresse tra il 1904 e il 1932, succedendo a Giuseppe Botti, il Museo Greco Romano di Alessandria d’Egitto. Le attività archeologiche del Breccia in Egitto, con importanti scoperte nei siti più importanti della Valle del Nilo (dall’area alessandrina e del Delta a Giza, a Ermopoli, al Fayum, a Ossirinco, a El Hibeh e ad Antinoe), occuparono circa trentacinque anni, fino al 1937, quando una grave malattia lo costrinse a rinunciare agli scavi, che lasciò a Sergio Donadoni. Rientrato in Italia nel 1933 Evaristo Breccia fu professore di Antichità e di Storia greca e romana nell’Università di Pisa, e ne fu rettore tra il 1939 e il 1941.
- Carteggio Breccia
É possibile visionare l’indice dei corrispondenti del carteggio.
- Archivio Breccia
Per la consultazione dei documenti originali dell’Archivio Breccia e per qualsiasi informazioni, rivolgersi a:
Flora Silvano
flora.silvano@unipi.it
info.collezioni-egittologiche@sma.unipi.it